Laureata a Firenze con il massimo dei voti e lode, specializzata a Firenze con il massimo dei voti, mi formo pre e post laurea in un reparto universitario di Farmacologia Clinica dove assimilo il METODO SPERIMENTALE SCIENTIFICO.
Successivamente mi inserisco nell’attività clinica del settore privato dove trovo gli spazi adeguati alla gestione del mio tempo professionale e privato.
La mia carriera si divide in 2 parti:
1. Gestione di ambulatorio privato in associazione con un kinesiologo con prevalente interesse e applicazione nel settore sportivo; durante questo periodo ho approfondito argomenti di medicina funzionale, di posturologia, oltre ai tradizionali argomenti di endocrinologia clinica, compresi la terapia della obesità e dei disturbi alimentari degli adolescenti sviluppando un metodo di lavoro di equipe in grado di ottenere risultati importanti.
2. Attività professionale in proprio presso strutture private e poliambulatori nell’area fiorentina ed in altre province della Toscana. Alla mia attività di base sopraelencata, ho affiancato la gestione delle malattie metaboliche con particolare riguardo per il DIABETE e la SINDROME METABOLICA per i quali ho partecipato a numerosi corsi di formazione sia di industrie farmaceutiche che nutraceutiche.
Da questo periodo in poi iniziano le mie collaborazioni dirette con associazioni sportive soprattutto sport di combattimento, ed artistiche che tuttora proseguono.
(tratto dal sito www.stefaniafrilli.it )
Dottoressa Frilli cosa ne pensa del nostro codice deontologico?
Ho letto con attenzione e grande interesse il vostro codice deontologico. Considero questa iniziativa interessante e coraggiosa in un momento difficile per le realtà dello sport giovanile che deve fare i conti con il lungo periodo di assenza dai campi di gioco e la necessaria riorganizzazione postCovid.
La prima riflessione che ho fatto è anche la più scontata: serve davvero un codice deontologico?
Evidentemente si se un gruppo di esperti addetti ai lavori ha sentito la necessità di mettere nero su bianco quello che potrebbe apparire ovvio. Si tratta di una piattaforma di dialogo fra persone di buon senso e non una “tavola delle leggi” che vuole regolare le società sportive, per questo ancora più interessante. Aprire un dialogo su questioni etiche nel mondo dello sport giovanile rimette finalmente al centro le esigenze educative e di crescita dei minori, riportando al giusto posto le istanze di agonismo e risultato.
Perché è importante la pratica sportiva sia da un punto di vista fisico che socio-relazionale?
La pratica sportiva ha un’importanza vitale per le persone, non solo per i giovani. Fra le attività che identificano un essere vivente possiamo elencare: alimentarsi, respirare, MUOVERSI, riprodursi. Qualora manchi una di queste o sia non adeguata, lo stato di salute ne risente in modo pesante (provate a pensare cosa vuol dire respirare male…).
Nella società attuale i bambini ed i giovani, meno numerosi ad ogni generazione, hanno poche occasioni di muoversi liberamente ed addirittura di muoversi proprio. Una osservazione condivisa dalla più parte dei tecnici di scuole di sport è la riduzione delle qualità coordinative di base via via che passano gli anni, così come la capacità di gestire gli spazi ampi. Da ciò risulta chiaro che un precoce avviamento ad uno sport che sia in grado di lasciare anche libertà di movimento e sperimentazione sia da considerare indispensabile per una corretta crescita di adulti “abili”.
L’altra grande sfida che noi adulti dobbiamo affrontare come educatori è la gestione della “solitudine” relativa e nella superficialità dei rapporti fra giovani. Sarebbe lungo qui affrontare un tema così complesso, basti solo accennare all’emersione di disturbi psicologici/psichiatrici nel periodo successivo al lockdown che ha visto picchi impressionanti con forme di destabilizzazione che hanno coinvolto intere famiglie. L’appartenenza ad un gruppo che condivide obiettivi, schemi di lavoro, gerarchie di responsabilità può essere un’ancora di salvezza per questi ragazzi.
Perché c’è bisogno di Fairplay nello sport e nella vita quotidiana?
Il termine faiplay, esotico ed accattivante, lo possiamo tradurre, in modo non letterale, in buona educazione in campo e fuori nei rapporti fra atleti, esponenti della società sportiva e famiglie. Aldilà delle belle parole, resta il fatto che di buona educazione e di rispetto ne possiamo parlare all’infinito ma che se non li rendiamo “popolari” (nel termine dei telefilm americani, cioè capace di ottenere attenzione e degno di emulazione) restano solo parole. La sfida che state lanciando con il vostro codice credo che sia proprio questo: il fairplay dovrà valere come una vittoria, un rigore battuto bene o un bel dribbling ad un avversario accorto. Sarà una rivoluzione culturale che vi auguro di portare a buon fine e della quale abbiamo bisogno per allontanare dalle nostre abitudini l’animosità scomposta dei dibattiti televisivi.
Ed infine quali incontri proporrebbe a società, famiglie e ragazzi?
Alla luce di esperienze pregresse in ambiti sportivi vari, non solo calcio, gli argomenti più sentiti sia dalle famiglie che dai ragazzi sono:
- educazione all’uso dei social e rapporto temporale con i devices
- educazione ai rapporti con i diversi (da qui si aprono ulteriori capitoli: razzismo, bullismo)
- rapporto fra la famiglia e il gruppo sportivo, riconoscimento dei limiti di interferenza
- educazione alimentare ed uso di integratori
- uso ed abuso di sostanze